Fullmetal Alchemist Live Action: recensione

È arrivato su Netflix il tanto atteso adattamento cinematografico del manga di Hiromu Arakawa!

di zettaiLara

A distanza di poco più di un mese dall'uscita del lungometraggio nei cinema nipponici, il 19 febbraio 2018 Netflix ha rilasciato il film di Fullmetal Alchemist, adattamento live action del manga di Hiromu Arakawa, per la regia di Fumihiko Sori. Il titolo è presente nella consueta opzione multilingua, comprensiva di una versione doppiata in italiano per Studio Emme Spa e di una in lingua originale giapponese con sottotitoli in italiano.
 

La massiccia campagna mediatica portata avanti dal colosso Warner Bros ha fatto sì che le aspettative per questo film, già elevate per la numerosa schiera di fan che il manga della maestra Arakawa si è guadagnata nel tempo, toccassero vertici probabilmente mai raggiunti in precedenza per un progetto di questo tipo.
Rispondere a tali ambizioni non è facile, nemmeno per chi, come Sori, vent'anni fa lavorava presso la Digital Domain di Los Angeles, in qualità di animatore agli effetti speciali, e dove ha aiutato a far affondare in mare il "Titanic" di James Cameron.
Il suo desiderio di creare un film giapponese colmo di effetti speciali è divenuto realtà attraverso la storia dei fratelli Elric e la loro caccia alla verità nascosta dietro il mistero della pietra filosofale, in un mondo dove la magia altri non è che il faticoso frutto del lavoro sull'alchimia. 
 
 
In una casetta costruita su una collina in mezzo al verde vediamo così due bambini mostrare felici alla mamma la loro "trasmutazione giocattolo"; ma poi, quando la madre improvvisamente viene a mancare, l'atmosfera si fa subito cupa, dai toni bui, fornendoci un'intuitiva ma accurata premonizione di quel che sarà il destino dei due, costantemente gravato dal peso della morte e della colpa.
Edward e Alphonse decidono testardamente di riportare "indietro" la madre, avventurandosi nella proibita trasmutazione umana; ma qualcosa va storto e Al scompare, risucchiato via da una tempesta di fulmini e scintille.
Diversi anni più tardi, assistiamo al travolgente inseguimento di un giovane biondino dall'ampio mantello rosso al prelato del paese di stampo medievale di Reole, a suon di mattoni divelti e usati come barriera tra le stradine della cittadina: l'uomo ha in mano una scintillante pietra rossa, mentre il ragazzo svela un braccio e una gamba artificiali. Egli viene riconosciuto immediamente come l'alchimista d'acciaio, con al suo fianco un'armatura che parla e si muove, ma totalmente vuota al suo interno. Ed e Al sono sopravvissuti in qualche modo e non hanno perso di vista il loro obiettivo.

«Ti prometto che riavremo indietro i nostri corpi, Al

La ricerca della pietra filosofale, ciò che sembra essere la chiave per l'unica corretta trasmutazione umana, si conferma un percorso irto di depistaggi, falsi indizi, corruzione, vite innocenti sacrificate senza remore e chiavi di lettura sussurrate in punto di morte.
Ed e Al si spostano da Reole ad altri paesi, spesso accompagnati dall'amica d'infanzia Winry che cerca di restituire loro un sorriso e una forza d'animo che a volte vengono a mancare. Quando qualcuno insinua che l'esistenza di Alphonse non sia che un'invenzione alchemica di Edward, persino la fiducia di Al vacilla a causa del suo corpo di ferro vuoto all'interno. Assistiamo così a un doloroso ma toccante litigio tra fratelli, che non è l'unico momento che ci fa intuire quanto quest'adattamento sia frutto, innanzitutto, di un minuzioso lavoro fatto con tanto rispetto e tanto cuore.
 

La trama dei primi volumi del manga viene proposta in questo film striminzita all'osso, eppure altresì capace di stritolare il cuore quando, in pochi minuti, ritroviamo la storia di Nina e Alexander, di Shou Tucker e delle sue chimere. Difficile non indignarsi al pari di Edward, difficile non chiedersi se il loro viaggio abbia un senso, o se tutto vada smarrendosi tra i segreti celati tra le fila dell'esercito, in cui Maes Hughes si ritrova a indagare.
Dal generoso sorriso di quest'ultimo all'aura di ambizione manifestata dalla presenza del Colonnello Mustang, dall'enorme cacciavite con cui Winry prende a randellate Alphonse al tenero sguardo che Edward rivolge a entrambi, e sino alla silente presenza del Tenente Hawkeye o della fredda indifferenza dei tre homunculus Lust, Envy e Gluttony; c'è molto in questo film che ci riporta a ciò che abbiamo amato dei personaggi della Arakawa. Ed è qualcosa che viene raccontato abilmente, attraverso attimi fuggenti, scambi di sguardi, movimenti del corpo, a rivelare il carattere di chi lo anima.
 
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Questo lungometraggio è realizzato in maniera davvero ottimale, grazie anche alla buona recitazione tanto dei protagonisti quanto dei comprimari. Nei panni del protagonista troviamo un Ryosuke Yamada molto cresciuto dai tempi di Assassination Classroom, che ci offre un Edward fedele alla sua controparte cartacea/animata, con una parlata da pseudo-teppista ribelle, con la caratteristica corsa a gambe levate, la sua predisposizione al non seguire le regole e fare di testa propria sempre e comunque, e con la sua indignazione di fronte alle terribili verità dell'alchimia... Accanto a lui c'è l'armatura di Alphonse, ricreata interamente in computer grafica, che lascia senza parole per la sua precisione e bellezza: difficile aver visto qualcosa dai movimenti e dai riflessi di luce tanto naturali prima d'ora in un film giapponese! Alphonse è una presenza tangibile e insostituibile nel film. Accanto ai due fratelli, poi, vediamo una Winry forse un po' meno matura di quanto ricordavamo, ma altrettanto testarda e solare, e la freschissima presenza di Ryuta Sato, davvero magistrale nel tratteggiare l'aspetto e la personalità di Hughes.
Dean Fujioka (autore e interprete della sigla "History Maker" di Yuri on Ice!!!) è un Roy Mustang altero e fiero, e non sono da meno Kanata Hongo e Yasuko Matsuyuki rispettivamente su Envy e Lust.
 

Posto questo, c'è da dire che non è presente proprio tutto in questa versione per il grande schermo. È infatti un peccato non ritrovare personaggi del calibro di Scar e Armstrong, oppure i sottoposti di Mustang... Personalmente, però, credo che la scelta sia stata coerente con l'idea di inserire essenzialmente coloro che potevano giocare un ruolo adeguato ai fini di una trama ridotta al massimo per comprensibili esigenze di minutaggio. A mio avviso, il ritmo del film parte bene, cercando di far calare lo spettatore innanzitutto nel contesto generale, quindi nel vissuto dei personaggi, e in terzo luogo in quello della loro missione; in quest'ottica non ritengo sbagliata la scelta fatta a livello di sceneggiatura, che ho trovato concisa ma efficace.
Credo difficilmente si potesse rendere, a parità di tempo, una presenza più nutrita di personaggi senza far avvertire allo spettatore un eccesso di figure di sfondo non adeguatamente coperte da un focus sulla storia personale di ognuno. Il manga della Arakawa, è vero, ci ha abituati a questo, attraverso però uno spazio su carta di norma ben più ampio e rilassato.

Una rilettura semplificata della trama non è operazione nuova su questo genere di film. Per esempio, è accaduto lo stesso nel primo dei tre film dedicati a Rurouni Kenshin, inizialmente pensato come unico, nel quale un personaggio molto importante e molto amato è stato rimosso completamente, al pari del focus a lui dedicato, per essere poi ritrovato nel sequel.
Tuttavia, ciò non ha influito minimamente sulla resa di quel primo film e ci fa intuire che, al tempo stesso, per Fullmetal Alchemist figure quali quella di Scar e Armstrong ben si collocherebbero in un eventuale seguito; anche la scena qui presente alla conclusione dei credits spinge a pensare che un seguito potrebbe esserci per davvero, solo ovviamente a fronte di un buon riscontro complessivo del film ai botteghini.
Quanto alle ambientazioni, sinceramente fa un particolare effetto vedere la nostra bellissima Italia nelle scene di Reole, che sappiamo essere state girate a Volterra, o la locomotiva che può far ricordare quella di Hogwarts di Harry Potter, ma invece è un pezzo originale storico di proprietà di Trenitalia.
 
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Personalmente quindi non vedo nel live action di Fullmetal Alchemist un fallimento del film in generale, quanto più un'inevitabile mancata resa di alcuni aspetti specifici legati all'adattamento dello stesso, che non pregiudicano però la godibilità del film.
Guardando all'opera nel complesso troviamo comunque una storia ben supportata dal cast, corredata dall'utilizzo di effetti speciali adeguati, da un impressionante realismo globale e da musiche a tratti solenni; quest'ultime si dimostrano particolarmente efficaci nel trasmettere l'idea di un'atmosfera in cui lo sbattere inevitabile contro la cruda realtà ha il sapore dell'amarezza, ma la flebile speranza nondimeno resiste, al pari della fiamma ardente che brilla negli occhi di Alphonse. 
Edward viene presentato al portale, pertanto noi con lui intuiamo che la verità del suo corpo e di quello di Al potrebbe essere lì, solo a qualche passo di distanza. Ma non bisogna smettere di inseguirla.

Probabilmente è questo il messaggio che il film vuole portare avanti: non smettere di perseguire l'obiettivo. Visto che, nella mente di Fumihiko Sori, il suo Fullmetal Alchemist nasceva di fatto quasi dieci anni fa, possiamo dire che lui senz'altro ci è riuscito a rendere tangibile e reale il suo sogno, e ciò che forse non avremmo mai pensato di vedere diventare un live action alla fine si è materializzato dinanzi ai nostri occhi.
Siamo stati abituati ad amare Fullmetal Alchemist senza alcuna riserva, e a nessun fan piace l'idea di vedere una storia che ama non poter godere di adeguate attenzioni nei toni e nei momenti giusti. Ricondurre tutto ciò all'interno di un film della durata di poco più di due ore è, in effetti, una scommessa azzardata; d'altronde anche nell'opera originale della Arakawa le risposte ai tanti quesiti collocati già nei primi volumi non si hanno per intero che alla fine, per un totale di 27 volumi per il manga e 64 episodi per l'anime.
 
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Questo live action si propone quindi come unicum in maniera semplice e onesta, senza la pretesa di dare una spiegazione a tutto, e facendo più che altro saggiamente intuire che sotto la coperta c'è un enorme calderone in ebollizione. Riesce a mantenere inalterato lo spirito e il messaggio dell'opera originale e ricrea alla perfezione un mondo duro e oscuro, nel quale però risalta ancor più la voglia di rimanere tenacemente attaccati alla vita.
Il risultato è un prodotto buono, certamente lontano dall'essere considerabile un capolavoro, ma allo stesso tempo ben instradato verso l'obiettivo di uno sviluppo cinematografico che possa essere apprezzato e diffuso non più soltanto in Giappone, bensì anche in Occidente, dove la cultura di manga e anime fa oramai parte della storia di più giovani generazioni. E Fullmetal Alchemist in streaming su Netflix ne è una prova tangibile.


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